Esplose a Palermo il 15 luglio 1820 ad opera di alcuni elementi della Carboneria.
L’allora luogotenente generale, Diego Naselli, non seppe affrontare la rivolta con il giusto rigore; anzi, dopo avere abbandonato nelle mani dei rivoltosi il Castello a mare, fuggì a Napoli.
A quel punto per la città, in piena anarchia, cominciò un periodo di violenze e saccheggi e alcuni galeotti, liberati nel frattempo, massacrarono i principi della Cattolica e di Aci accusati di tradimento.
La giunta che venne formata, con a capo prima il cardinale Pietro Gravina e poi il principe di Villafranca, Giuseppe Alliata, non riuscì però a riportare l’ordine.
Palermo venne, così, isolata sia dalle altre città dell’isola che da Napoli.
Per dimostrare la supremazia sulle altre città isolane furono poi compiute spedizioni che, fra massacri e violenze, cercarono di asservire i vari centri al potere appena stabilito.
Tutto questo portò ad un sempre maggiore isolamento che poi fu anche la causa della fine del moto secessionistico; Napoli poi lo stroncò definitivamente riprendendo il controllo della Sicilia.
Furono le truppe guidate dal generale Florestano Pepe a rimettere ordine, fra altri massacri e atrocità, fin quando il principe di Paternò, Giovan Luigi Moncada, il 5 ottobre 1820, firmò l’accordo con il generale Pepe.