Category: Palermo ieri, oggi e domani



Porta Bab al-bahr

 Tradotto “Porta del mare”, forse detta successivamente dei Patitelli (fabbricanti di zoccoli), era dotata, come riportano alcuni documenti latini più tardi, di due torri chiamate rispettivamente di Baych e di Ferat o di Ferach, e i cui nomi pur corrotti rivelano un’origine o una fase di rifacimento araba.

 Ne sarebbe testimonianza anche l’iscrizione proveniente dalla prima delle due torri e in cui sembra si leggesse fra l’altro La ilaha illa Allah la hawla wa-la quwwa illa bi’llah al-qawi al qahhar, ossia “non c’è Dio all’infuori di Allah, né v’è potenza e forza se non in Dio possente ed onnipotente”. Baych è infatti corruzione ancora di bahr (“mare”), Ferat verosimilmente di fars (“piana”, “spianata”, all’interno o all’esterno della porta?).

 Un adagio latino avrebbe detto più tardi:

 Custodia Panormi est: Intra baych et ferach; quibus mediantibus turribus, hercle, nullus hostis violenter Panormum ingredi potest.

 E si potrebbe ipotizzare che il riferimento fosse non solo al rafforzamento delle mura costituito dalle torri, ma forse anche all’esistenza, sopra la porta (a ingresso diretto o a gomito?), di un’apertura che consentisse dall’alto l’utilizzazione di mezzi difensivi.



Nella contrada che nel XIII secolo fu detta Babelagerin si trovava la chiesa dei SS. Quaranta Martiri de Cudya o de Lydia che nel medesimo periodo era suffraganea della chiesa greca del monastero del SS. Salvatore.  In questa contrada oltre alla suddetta chiesa vi erano anche la Santa Maria de Crypta che, attribuita al normanno Roberto il Guiscardo, sovrastava una Crypta senza dubbio molto più antica, l’oratorio di San Calogero in Thermis, e le chiese dei Santi Cosmo e Damiano, di San Michele e di San Leonardo, sotto le quali esistevano ed esistono ancora ingrottati e gallerie sotterranee, con ogni probabilità utilizzate un tempo per il culto cristiano.

A proposito di questa zona il Cascini, nel 1651, scriveva: “luogo anticamente celebre per molte grotte habitate dagl’antichi cristiani nel tempo delle persecutioni, che ancora in parte si veggono sotto la sacristia della Casa Professa della Compagnia di Gesù, una delle quali grotte vien detta di San Calogero, che vi habitò, come si tiene; sotto la quale ve n’ha un’altra sostentata con colonne di marmo granito con l’imagine della B. Vergine: altre grotte sono sotto la Chiesa, et altre nel giardino della predetta casa, con varie occasioni discoperte”.

Tali grotte dovevano ricadere in un’area posta tra la cripta di S. Michele, le grotte de’ SS. Quaranta Martiri del Casalotto, sul lato sud-est della chiesa, e l’edifizio di Casa Professa, già monastero basiliano nei secoli XI e XII.

Sotto la chiesa dei SS. Quaranta Martiri, col cui nome nel 1206 è ricordata una “ruga SS. Quadraginta MM. in loco qui dicitur Babelagerin”, vi sono degli ingrottati, che Villabianca ritenne una continuazione delle catacombe di S. Maria de Grutta o di Casa Professa. Di queste “catacombe” dei SS. Quaranta, attualmente non accessibili, esiste una descrizione fatta nel 1650 da Inveges, nel suo Palermo Sacro (pp. 399 ss.); entrantovi in seguito al grande rumore popolare prodotto dalla ricerca in questo luogo del corpo di Sant’Oliva, sepolta dai cristiani venuti da Tunisi, e dalla presunta esistenza di tesori, ci dice che nel 1659 l’arcivescovo di Palermo ne dispose la definitiva chiusura.

Quella qui di seguito riportata è la decrizione dell’Inveges già pubblicata da Di Giovanni (II, pp. 152-54):

Fuori il muro settentrionale di detta Chiesa (de’ SS. Quaranta Martiri) circa 6 passi è una piccola porta da dove per alcuni scalini si discende nelle profonde viscere del vivo sasso circa 20 palmi (m 5,10): qui si ritrova una ruvida caverna di circuito circa 48 palmi, di figura quasi rotonda, e variamente alta, hor 10 et hor 12 pal. Quindi si entra per un’angusta cavernuccia a forma di picciola stradella diritta, larga et alta quanto possa dar l’entrata ad una sola persona: ove dopo il breve camino di 8 palmi si vede nel massiccio intagliata una nicchia, et in quella quasi un piccolo altare dell’istessa pietra, sopra cui è un arrizzato di mistura di calce, bitume e d’altre cose utili alla perpetuità, di figura quadra, e che un ogni lato ha circa 4 pal. di grandezza, ove si veggono incavate alcune lettere o cifre o Gieroglifici, posti ad ordine di Iscrizione Romana.

Queste cifre furono la prima volta ritrovate l’an. 1623, e per ordine tanto di D. Gioannettino Doria Cardinale et Arcives. come del Senato Palermitano, vi furono mandati per riconoscerle il p. Giordano Cascina della Comp. di Giesù, e D. Troiano Parisi Barone di Milocco, e ricavatane dal sasso la copia fedele furono date ad interpetrare prima ai PP. del Collegio della Compagnia di Palermo, dopo mandate in Roma, e si crede anche infino a Costantinopoli; ma niuno, ancorché peritissimo nelle lingue Ebrea, Caldea, Arabica e Greca, poté mai il loro misterioso significato penetrare. Finalmente nel 1648 D. Andrea Chisesi, greco siciliano, Arciprete della Piana dei Greci, villaggio da Palermo lontano circa 8 miglia, peritissimo nella Greca lingua, e perciò Rivisore dei libri Greci della S. Inquisizione di Sicilia, le vidde, le lesse, et a quelle diede la interpetrazione in due lingue Greca e Latina, del tenor seguente:

Sub mensura quattuor cubitorum discendens a cippo vertensque retro sub cubitis 10, utrobique apprehendes Magnalia, aufugiens sub passu.

La sopra ricordata cavernuccia siegue dopo alla medesima altezza e larghezza per altri 16 pal. e da man diritta dà l’ingresso a due porte, formate dalla massa da un gran pilastro dell’istessa pietra; intorno a cui si raggira il seno d’una gran caverna, a figura di mezza luna, per 24 pal. di circonferenza: siegue dopo l’angusto corridore a camminare più addentro per altri 12 pal., ma più slargato e capace di due persone, che alla pari camminano: al fine del quale si vede la terza gran caverna, quasi tutta di terra ripiena; e per l’empitura alta circa 5 pal., ove scaturisce acqua dolcissima ed abbondante. Quel che ivi dentro, e dopo quest’ultima e ripiena caverna si sia, non sappiamo.

Or siccome l’inventione di queste cifre, fatte nel 1623, obbligò il Doria Arcivescovo et il Senato a far diligenze grandi et esquisite; et il solo mancamento della dichiararationi li fece desistere dall’impresa; così la interpetratione del Chisesi nel 1648 di novo risvegliò gli animi e del Prelato e della Città a cose nove. Et in fatti il precedente Arcivescovo D. Ferdinando Andrade e Castro entrò nella Caverna, vidde le cifre, e per raffreddare il bollor del popolo palermitano, che già gorgogliava, comandò che di novo la porta della Grotta si murasse”.

Questa catacomba dei SS. Quaranta Martiri che, come si è detto, è attualmente inaccessibile, sembra abbia la scalinata di accesso, oggi latente, proprio lungo il fianco settentrionale dell’omonima chiesa, ubicata nel vicolo primo nei pressi della chiesa di Sant’Orsola.



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